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Contro il conformismo delle parole moderne... "Il dimenticatoio"!

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Il dimenticatoio. Dizionario delle parole perdute
Franco Cesati, 2016

Con illustrazioni di Elinor Marianne
pp. 216
€ 16 (cartaceo)



Le parole ci affascinano. Utili o estetizzanti, tecniche o generali, sentimentali o descrittive, arcane o quotidiane, popolano ogni giorno le nostre vite. Benché si gridi all'analfabetismo di ritorno e all'impoverimento del lessico a poche migliaia di lemmi, ci sono fortunatamente alcune opere che possono aiutarci a rinfocolare un piacere atavico per gli italiani: quello di scoprire il significato di parole inconsuete. 
Il dimenticatoio, uscito prima di Natale per i tipi di Franco Cesati Editore, è un dizionarietto allegro, graficamente accattivante, che non ha nulla di distanziante o iper-specialistico. Al contrario, un'equipe ha selezionato quasi 2000 parole che hanno in comune una sola cosa: essere ormai considerate desuete. Ad esempio, che significano "bretto", "ineunte", "babbignocco", "mecco"? Sono solo alcune delle parole perdute, che vengono sobriamente accompagnate dal loro significato e, talvolta, dal contesto storico, sociale o artistico in cui si sono affermate.
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La famiglia ai tempi del post-capitalismo: quando il Nido è un rifugio tutt'altro che sicuro

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Il nido
di Cynthia D'Aprix Sweeney
Frassinelli, 2017

Traduzione di Ada Arduini e Lucia Olivieri

pp. 359
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Cosa fareste se vostro padre vi lasciasse in eredità un "Nido", ovvero un fondo di risparmio che nel tempo è cresciuto oltre ogni immaginazione? Probabilmente verrebbe a tutti almeno una volta il pensiero di fare affidamento su quella piccola certezza per togliersi uno sfizio, pagare i propri debiti, concedersi un rischio notevole al lavoro,... Il problema è che la stessa idea, declinata in modi diversi, viene a tutti e quattro i fratelli Plumb. Certo, sanno tutti che non potranno toccare i soldi fino al raggiungimento del 40esimo compleanno della sorella Melody, ma tanto "il Nido" sta lì, ben protetto dalla banca. In fondo, l'unica ad avere diritto sul fondo anzitempo è la madre. E secondo voi che cosa viene in mente alla madre, quando uno dei figli, Leo, ha un terribile incidente in auto e la ragazza che sta con lui (in condizioni a dir poco compromettenti) subisce l'amputazione di un piede? Leo va tolto dai guai, chiuso per un po' in una clinica di disintossicazione, con la certezza che i fratelli capiranno... Muove da qui, dall'uscita di Leo dalla clinica e dall'incontro-scontro inevitabile con i fratelli, una vicenda tutt'altro che prevedibile. E mentre aspettiamo con Bea, Melody e Jack l'arrivo di Leo all'Oyster Bar, ecco che sorseggiamo le loro vite, gli antefatti che li hanno portati lì in uno stato di totale turbamento ignorando ciò che sta avvenendo, a loro completa insaputa, in contemporanea.
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#PagineCritiche - Alla (ri)scoperta dell'inutile necessità della letteratura

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Giorgio Manganelli, o l'inutile necessità della letteratura
di Anna Longoni
Carocci, 2016

pp. 264
€ 25 (cartaceo)



Complesso e ambizioso, scrivere una monografia dedicata a Giorgio Manganelli, autore controverso, dalle molteplici sfumature, difficili da cogliere, perché spesso intellettualistiche e attorcinate attorno alla sperimentazione lessicale, a discapito di una trama unitaria. Leggere Manganelli a volte lascia frustrati, più spesso ammirati, ma soprattutto frastornati dalla sua geniale ricerca stilistica, intrisa d'ironia e satira.
In questo ambiente potenzialmente pericoloso, costellato di numerosissima (ma non sempre valida) bibliografia critica, si muove invece con grande agio Anna Longoni, nel nuovo Giorgio Manganelli, o l'inutile necessità della letteratura, certamente tra i saggi più piacevoli, esaustivi e, al tempo stesso, "aperti" del 2016. Può sembrare strano attribuire tale attributo a un saggio, ma così è, e nell'accezione migliore: nel corso della lettura dell'opera, viene voglia di colmare le proprie lacune su Manganelli, procurarsi tutti i libri mancanti e andare ad ampliare le citazioni che, generosamente, intervallano, innescano o comprovano la riflessione critica. Un tratto comune ai vari capitoli della monografia è l'attenzione di Anna Longoni al testo autoriale, base da cui partire e approdo a cui tornare. Altro elemento imprescindibile, presente fin dal titolo, è la forte impostazione ossimorica delle riflessioni, peraltro coerentissima allo «scrittore che, ossessionato dalla menzogna, ha sostanziato i suoi scritti di autenticità» (p. 15).
Primo ossimoro: Manganelli  
«ha lungamente teorizzato la cancellazione dell'io autoriale: ma l'azzeramento di ogni traccia di sé è soltanto il momento finale del processo creativo, che in lui origina, sempre, da un dolore che è, prima di tutto, individuale» (p. 16). 
E dunque Anna Longoni dedica il primo capitolo a tracciare un interessante ritratto dell'autore, tra contrasti, auto-definizioni (o dovremmo dire "auto-fughe" da sé?), storie amorose, carriera come traduttore e scrittore, giornalista, ricezione di critica e di pubblico. 
Dunque, ci si sofferma sul rapporto metaletterario tra scrittore e lettore. Se autodefinire il proprio lavoro è a dir poco complesso, anche il rapporto di Manganelli con la contemporaneità si rivela controverso, poiché «all'immagine dello scrittore che rimane ai margini e rifiuta il proprio tempo si intreccia quella, contraria, del tempo che rifiuta lo scrittore» (p. 56). D'altra parte, al centro della riflessione di Manganelli si stabiliscono due punti cardine: «l'impersonalità dell'opera e la passività dello scrittore di fronte alla tirannia della lingua» (p. 57), scrittore si riduce a suddito della parola, una sorta di mediatore. Anche il lettore (diversamente da quanto teorizzato da Eco, ad esempio) ha un ruolo passivo: è sottoposto alle parole che un altro decide per lui e, "caverna" o "notturno tombarolo", deve accettare di farsi riempire da parole decise da altri. Come Manganelli precisa in Pinocchio: un libro parallelo:
Un libro non si legge; vi si precipita; esso sta, in ogni momento, attorno a noi.
Godibilissimo è il rapporto che spesso Manganelli intraprende col lettore, già a partire dalle bandelle (bei tempi quando non riportavano solo i numeri delle vendite!), tirandolo in causa, spesso con dichiarazioni ironiche e provocazioni. 
Con grande naturalezza si passa da queste riflessioni al focus sulla letteratura, che deve anzitutto «infastidire, scandalizzare [...]. Asociale e losca, come lo scrittore, non solo non cura le ferite dell'uomo, ma si nutre delle sue sofferenze» (p. 72) e, tuttavia, «concede sollievo alla malattia dell'esistere» (p. 73). Manganelli si sottrae del tutto alla letteratura impegnata, realistica e socialmente schierata; al contrario, proclama la totale inutilità della letteratura e, in nome di questo, la sua stordente libertà. Come sostiene Anna Longoni,
l'opera letteraria, innaturale e inattuale, parla a chi ancora non c'è di ciò che non esiste. [...] Non può accontentarsi di rappresentare la superficie del mondo, ciò che appare, ciò che è. Questa è la ragione per cui, in fondo, tutta la letteratura è letteratura fantastica. (p. 77)
E la letteratura non sta nel romanzo, né nella bontà di una trama: Manganelli sceglie la via dello pseudotrattato o di forme narrative incentrate su monologhi visionari, che rifiutano il contingente e che richiedono una fitta documentazione, garantita da un dizionario sempre sulla scrivania.
Dunque, introdotti i generi più frequentati da Manganelli, Longoni si immerge e ci immerge nella trattazione ravvicinata delle principali opere: Hilarotragedia, Nuovo commento, Il libro parallelo delineano alla perfezione la reinterpretazione manganelliana del trattato, aperto alla sperimentazione più spinta. Varie sono poi le visioni, che entrano in forme narrative decisamente nuove, trattate in un capitolo ad hoc: ed ecco che troviamo Sconclusione e Amore, Dall'inferno, La palude definitiva, Il presepio. 
Anche i racconti sono stati frequentati più volte, definiti da Manganelli «tonde e inafferrabili gocce di mercurio», «polimorfi» e tutt'altro che «monoteisti»: pur con le proprie peculiarità e la diversa misura, Anna Longoni rimarca punti di tangenza con i volumi suddetti, con predilezione per la forma visionaria. 
Infine, l'ultimo capitolo è dedicato alle collaborazioni giornalistiche, fitte e varie, che sono riconducibili soprattutto ai corsivi e a i reportage di viaggio. In questi ultimi, specialmente, si scopre un Manganelli interessato al mondo e alle alterità che allontanano dall'Europa. 
Dalla lettura dei suoi testi non si esce mai uguali a come si è entrati, perché, di certo, un risultato lo ottengono: quello di costringere a spostare il proprio punto di vista sulla realtà, (p. 207)
scrive Anna Longoni nelle Conclusioni. E una cosa va detta: la sua monografia è una splendida torcia che permette di inoltrarsi senza troppi timori tra le tante ombre e le luci improvvise di Giorgio Manganelli: facilita e problematizza, approfondisce e illumina collegamenti altrimenti difficilimente visibili da un lettore alle prime letture manganelliane. E ancora, incuriosisce e invoglia a occuparsi di tutto quel Manganelli che - forse per pigrizia, forse per timore di esserne respinti - ancora giace inerte sui nostri scaffali.
GMGhioni