Giorgio Manganelli, o l'inutile necessità della letteratura
di Anna Longoni
Carocci, 2016
pp. 264
€ 25 (cartaceo)
Complesso e ambizioso, scrivere una monografia dedicata a Giorgio
Manganelli, autore controverso, dalle molteplici sfumature, difficili da
cogliere, perché spesso intellettualistiche e attorcinate attorno alla
sperimentazione lessicale, a discapito di una trama unitaria. Leggere
Manganelli a volte lascia frustrati, più spesso ammirati, ma soprattutto
frastornati dalla sua geniale ricerca stilistica, intrisa d'ironia e
satira.
In questo ambiente potenzialmente pericoloso, costellato di
numerosissima (ma non sempre valida) bibliografia critica, si muove
invece con grande agio Anna Longoni, nel nuovo Giorgio Manganelli, o l'inutile necessità della letteratura, certamente tra i saggi più piacevoli, esaustivi e, al tempo stesso, "aperti" del 2016.
Può sembrare strano attribuire tale attributo a un saggio, ma così è, e
nell'accezione migliore: nel corso della lettura dell'opera, viene
voglia di colmare le proprie lacune su Manganelli, procurarsi tutti i
libri mancanti e andare ad ampliare le citazioni che, generosamente,
intervallano, innescano o comprovano la riflessione critica. Un tratto
comune ai vari capitoli della monografia è l'attenzione di Anna Longoni al testo autoriale,
base da cui partire e approdo a cui tornare. Altro elemento
imprescindibile, presente fin dal titolo, è la forte impostazione
ossimorica delle riflessioni, peraltro coerentissima allo «scrittore che, ossessionato dalla menzogna, ha sostanziato i suoi scritti di autenticità» (p. 15).
Primo ossimoro: Manganelli
«ha lungamente teorizzato la cancellazione dell'io autoriale: ma
l'azzeramento di ogni traccia di sé è soltanto il momento finale del
processo creativo, che in lui origina, sempre, da un dolore che è, prima
di tutto, individuale» (p. 16).
E dunque Anna Longoni dedica il primo capitolo a tracciare un
interessante ritratto dell'autore, tra contrasti, auto-definizioni (o
dovremmo dire "auto-fughe" da sé?), storie amorose, carriera come
traduttore e scrittore, giornalista, ricezione di critica e di
pubblico.
Dunque, ci si sofferma sul rapporto metaletterario tra scrittore e lettore.
Se autodefinire il proprio lavoro è a dir poco complesso, anche il
rapporto di Manganelli con la contemporaneità si rivela controverso,
poiché «all'immagine dello scrittore che rimane ai margini e rifiuta
il proprio tempo si intreccia quella, contraria, del tempo che rifiuta
lo scrittore» (p. 56). D'altra parte, al centro della riflessione di Manganelli si stabiliscono due punti cardine: «l'impersonalità dell'opera e la passività dello scrittore di fronte alla tirannia della lingua»
(p. 57), scrittore si riduce a suddito della parola, una sorta di
mediatore. Anche il lettore (diversamente da quanto teorizzato da Eco,
ad esempio) ha un ruolo passivo: è sottoposto alle parole che un altro
decide per lui e, "caverna" o "notturno tombarolo", deve accettare di
farsi riempire da parole decise da altri. Come Manganelli precisa in Pinocchio: un libro parallelo:
Un libro non si legge; vi si precipita; esso sta, in ogni momento, attorno a noi.
Godibilissimo è il rapporto che spesso Manganelli intraprende col
lettore, già a partire dalle bandelle (bei tempi quando non riportavano
solo i numeri delle vendite!), tirandolo in causa, spesso con
dichiarazioni ironiche e provocazioni.
Con grande naturalezza si passa da queste riflessioni al focus sulla letteratura, che deve anzitutto «infastidire,
scandalizzare [...]. Asociale e losca, come lo scrittore, non solo non
cura le ferite dell'uomo, ma si nutre delle sue sofferenze» (p. 72) e, tuttavia, «concede sollievo alla malattia dell'esistere»
(p. 73). Manganelli si sottrae del tutto alla letteratura impegnata,
realistica e socialmente schierata; al contrario, proclama la totale
inutilità della letteratura e, in nome di questo, la sua stordente
libertà. Come sostiene Anna Longoni,
l'opera letteraria, innaturale e inattuale, parla a chi ancora non c'è
di ciò che non esiste. [...] Non può accontentarsi di rappresentare la
superficie del mondo, ciò che appare, ciò che è. Questa è la ragione per
cui, in fondo, tutta la letteratura è letteratura fantastica. (p. 77)
E la letteratura non sta nel romanzo, né nella bontà di una trama: Manganelli sceglie la via dello pseudotrattato o di forme narrative incentrate su monologhi visionari, che rifiutano il contingente e che richiedono una fitta documentazione, garantita da un dizionario sempre sulla scrivania.
Dunque, introdotti i generi più frequentati da Manganelli, Longoni si
immerge e ci immerge nella trattazione ravvicinata delle principali
opere: Hilarotragedia, Nuovo commento, Il libro parallelo
delineano alla perfezione la reinterpretazione manganelliana del
trattato, aperto alla sperimentazione più spinta. Varie sono poi le
visioni, che entrano in forme narrative decisamente nuove, trattate in
un capitolo ad hoc: ed ecco che troviamo Sconclusione e Amore, Dall'inferno, La palude definitiva, Il presepio.
Anche i racconti sono stati frequentati più volte, definiti da Manganelli «tonde e inafferrabili gocce di mercurio», «polimorfi» e tutt'altro che «monoteisti»:
pur con le proprie peculiarità e la diversa misura, Anna Longoni
rimarca punti di tangenza con i volumi suddetti, con predilezione per la
forma visionaria.
Infine, l'ultimo capitolo è dedicato alle collaborazioni giornalistiche,
fitte e varie, che sono riconducibili soprattutto ai corsivi e a i
reportage di viaggio. In questi ultimi, specialmente, si scopre un
Manganelli interessato al mondo e alle alterità che allontanano
dall'Europa.
Dalla lettura dei suoi testi non si esce mai uguali a come si è entrati,
perché, di certo, un risultato lo ottengono: quello di costringere a
spostare il proprio punto di vista sulla realtà, (p. 207)
scrive Anna Longoni nelle Conclusioni. E una cosa va detta: la
sua monografia è una splendida torcia che permette di inoltrarsi senza
troppi timori tra le tante ombre e le luci improvvise di Giorgio
Manganelli: facilita e problematizza, approfondisce e illumina
collegamenti altrimenti difficilimente visibili da un lettore alle prime
letture manganelliane. E ancora, incuriosisce e invoglia a occuparsi di
tutto quel Manganelli che - forse per pigrizia, forse per timore di
esserne respinti - ancora giace inerte sui nostri scaffali.
GMGhioni
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